Il centenario del Futurismo tra Cubismo e Dadaismo |
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NapoliNews - Arte | |||
Scritto da Achille Della Ragione | |||
Domenica 22 Febbraio 2009 16:59 | |||
Il centenario del Futurismo tra Cubismo e Dadaismo Grandi mostre tra Milano e Roma “C’è una bellezza nuova”- si dice-“quella della velocità”. Viene inneggiata: “La locomotiva dall’ampio petto” o “Il volo scivolante dell’aeroplano”, mentre si dichiara la volontà di distruzione di “musei, biblioteche ed accademie”. Siamo nel 1909, Einstein da pochi anni aveva creato la teoria della Relatività e la nuova formula E=mc², che legava massa ed energia in un rapporto dipendente dalla velocità della luce (300.000km/sec) certamente affascinava non poco gli intellettuali. Questa scoperta ebbe il potere di relegare in cantina le vecchie teorie assolutiste insinuando il germe dell’incertezza. Il rapporto tra scienza ed arte non è nuovo. L’Impressionismo e ancor più il Divisionismo furono fortemente influenzati dalle nuove scoperte ottiche. La psicanalisi di Freud e la nuova concezione della memoria di origine bergsoniana erano tematiche inscindibili dalle espressioni artistiche di molte avanguardie dell’epoca. L’inquietudine e l’angoscia dell’anima pervasero i primi anni del secolo scorso per sfociare poi nel dramma “assurdo” della guerra. Una sete di cambiamento innovativo prese un gruppo di giovani artisti in quel prodigioso e irripetibile momento creativo, che attraversò i centri culturali più vivi d’Europa nella fatidica prima decade del Novecento. Erano giovani che avevano viaggiato ed erano venuti in contatto con la solerte e proficua attività del faro artistico di Parigi, i cui famosi “ateliers” indussero non solo i Nostri, ma artisti provenienti finanche dal Giappone, a lunghi soggiorni nella capitale dell’arte. D’altra parte il tessuto sociale italiano, per l’arretratezza tecnologica e la Questione meridionale ancora vigente, sentiva la necessità di adeguarsi al ritmo moderno delle città nordiche. E qui entra in gioco, trovandosi nel momento giusto nel giusto posto, la poliedrica figura di Marinetti, il quale non fece altro che accogliere a braccia aperte le nuove energie vitali che scalpitavano all’orizzonte. Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944) nasce ad Alessandria d’Egitto, ma è subito cittadino europeo. Soggiorna a lungo a Parigi. E’ poeta e uomo di lettere. Scrive ed espone le sue idee con entusiasmo; la sua penna incanta giovani leve come Tullio Crali (1910-2000), che legge con profondo interesse i suoi scritti, decidendo improvvisamente di diventare artista futurista, anche se di seconda generazione. Fondamentale sarà il suo contributo all’Aeropittura. All’inizio del 1909 cinque sono i firmatari del Manifesto: Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Gino Severini e Giacomo Balla (unico quarantenne). In seguito aderiranno: Fortunato Depero, Enrico Prampolini, Ardengo Soffici, il poeta e pittore napoletano Francesco Cangiullo e tanti altri. Il nuovo messaggio, sottoscritto dal “Profeta della modernità”, un attributo autoreferenziale che piaceva a Marinetti, soprannominato all’estero: “La caffeina d’Europa”, per la sua attività frenetica, viene prima presentato in diversi luoghi d’Italia; esso appare sulla “Gazzetta di Reggio Emilia” del 5 febbraio, ma bisognava aspettare l’eco di lunga portata di un giornale autorevole come “Le Figaro” del 20 febbraio per raggiungere l’ampia risonanza che ebbe. I nostri cugini d’oltralpe si sono sempre vantati di tale circostanza fino al punto di considerarlo di nascita francese. Recentemente, nel mese di ottobre 2008, ancora prima che iniziassero le nostre mostre celebrative del centenario, si è tenuta al “Beaubourg” l’esposizione: “Le Futurisme à Paris – Une avant-garde explosive”. Ci hanno battuto sul tempo, perché volevano esprimere il loro pensiero sul Cubo-Futurismo, dizione più accettabile della loro: Cubofuturismo, e quindi sulla derivazione cubista del Futurismo. Ma altrettanto potremmo dire: “Ci sarebbe stato Picasso senza Cézanne?” e via dicendo per numerosi altri esempi nella storia dell’arte. E’ vero che i Futuristi nei riguardi dei Francesi hanno un debito artistico, anzi per la precisione un doppio debito, se pensiamo al Divisionismo. Ma a difesa del direttore e dell’organizzazione della mostra parigina, bisogna riconoscere che il Centro Pompidou ha messo degnamente in evidenza anche le influenze del Futurismo sul Cubismo in opere come il “Nudo che scende le scale”1912 di Marcel Duchamp e “L’Aviatore” 1914 di Malevic. Eppure essi restano fondamentalmente diversi e lontani per la concezione spaziale. Per i Cubisti la scomposizione geometrica dell’immagine avviene conservando la fissità della forma, per i Futuristi la resa è fortemente dinamica nella rielaborazione del soggetto distrutto. Ciò che conta veramente non è il semplice movimento ma la velocità dell’impatto. Come non pensare ai famosi ”Tubi” di Fernand Léger, il cubista che considerava la pittura sorella dell’architettura, guardando “Il motociclista (solido in movimento)” di Depero, tanto per evidenziare un’altra analogia. Per quanto concerne la polemica tra i due movimenti artistici, Guillaume Apollinaire, inventore del nome “Cubismo”, in un primo momento, disdegnò la nostra avanguardia, definendola: “Cubista-Orfica, non Futurista”, ma quando il sagace Marinetti lo accusò di plagio, costringendolo a ritrattare, il sommo critico francese del momento pubblicò: “L’Antitradizione Futurista”, in cui ammise l’importanza del rinnovamento recato nel quadro europeo. L’altro debito nei confronti degli artisti francesi è il Divisionismo. L’esperienza divisionista più significativa è quella vissuta da Giacomo Balla (1871-1958), forse il pittore più famoso presente sulla scena artistica per quella straordinaria bellezza del colore nelle sue opere. Di origine torinese, a 24 anni, dopo la morte del padre, si stabilisce a Roma con la madre. Nella capitale accoglie due giovani allievi nel suo atelier, due promesse del futuro: Umberto Boccioni (Reggio Calabria 1882- Verona 1916) e Gino Severini (Cortona 1883- Parigi 1966), entrambi toccati dalla febbre del nuovo. Il nuovo è la tecnica divisionista che Balla impara a Parigi in seguito ad un soggiorno di sette mesi nel 1900. Diventa un grande esperto nell’utilizzazione della dottrina dei complementari; impara a conoscere tutti i segreti di quella sperimentazione scientifica. La sola in grado di rendere lo spirito moderno della nuova realtà: il flusso vorticoso del movimento, proprio in virtù dell’accostamento, gli uni agli altri, dei colori separati. Il frutto dello studio severo lo portò dopo qualche anno ad una resa pittorica eccezionale: l’emozione della poesia che si legge nelle forme piene di armonia. Tuttavia Balla considerò sempre il Divisionismo uno strumento e non il fine della sua pittura. La tradizionale ricerca del “vero” che stimolò i nostri artisti fin dalla seconda metà dell’Ottocento così viva nella cultura dei “Macchiaioli”, così presente nella esperienza antiaccademica della “Scapigliatura Lombarda”, fa sì che il Divisionismo italiano della prima fase della pittura futurista sia fondamentalmente legato alla natura più intima delle cose. Sono emozioni visive vibranti di dinamismo plastico i quadri di Balla, evidenziabili in un’analisi rapida da un primissimo lavoro: “Maggio”1906 a “Primaverilis”1918, “Insidie di guerra”1915. Lo stesso per Boccioni dal “Ritratto della signora Meta Quarck”1910, fino all’espressione dinamica di un quadro come: “Cavallo, cavaliere e caseggiato”1914, in cui i colori scoppiettanti realizzano un’unità spaziale attraverso una sintesi geometrica straordinaria. L’idea del cavallo in movimento si pone all’origine dell’arte di Umberto Boccioni, senza sapere che sarà proprio il cavallo l’artefice della sua fine: amore e morte, ironia del destino. In definitiva i Futuristi s’impossessano della tecnica vecchia divisionista per rielaborarla, ma soprattutto per piegarla alla necessaria espressione dei nuovi valori (“La Galleria “1910 di Boccioni). Elvira Brunetti
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Ultimo aggiornamento Mercoledì 11 Marzo 2009 21:25 |