Napoli: Le pale d’altare del Farelli per le chiese napoletane (1° puntata)
Una figura di rilievo nel panorama artistico napoletano della seconda metà del secolo è Giacomo Farelli, (Roma o Napoli 1629 - Napoli 1706) del quale un documento recentemente scoperto dal Delfino ci corregge la data, 1629 e non 1624, e forse anche il luogo di nascita.
Concettualmente vicino alla cultura del Di Maria nella fase iniziale della sua carriera, quando persegue l’identico indirizzo intellettualistico dell’Accademia di Notomia fondata dallo stesso Di Maria con Andrea Vaccaro, si avvicina gradualmente al Giordano cominciando ad impreziosire le sue pitture ed infondendo «nobiltà alla sua nuova maniera con l’usare tinte dolci e piene di morbidezza» (De Dominici). Giungerà poi nella piena maturità ad una sorta di neo michelangiolismo che non trova corrispettivo culturale nella nostra città e deriva da lunghe e proficue meditazioni romane a cospetto della Sistina. Il Farelli esegue pale d’altare per le chiese napoletane per oltre 50 anni, i documenti infatti ce lo mostrano attivo dal 1652 al 1705, spesso realizzando il dipinto destinato all’altar maggiore, a dimostrazione lampante di una fama presso i committenti che non è stata riconosciuta adeguatamente dalla critica moderna. Numeroso è l’elenco delle chiese dove ha lavorato:Trinità dei Pellegrini, Materdomini, S. Brigida, S. Maria Maggiore, San Carlo alle Mortelle, Duomo,S. Maria Reginacoeli, San Michele Arcangelo al Vomero. S. Maria della Stella, Arciconfraternita dei Verdi allo Spirito Santo, Purgatorio ad Arco, Pietà dei Turchini, San Paolo Maggiore, Redenzione dei Captivi, la parrocchiale di Secondigliano, San Giuseppe dei Ruffi, Egiziaca a Forcella, Gesù Nuovo, S. Domenico Soriano, San Luigi di Palazzo, ed in provincia a Capri nella chiesa di S. Stefano e ad Aliano nella SS. Annunziata. La sua prima opera documentata, pagata all’artista il 24 maggio1652, è la Visione di S. Antonio(fig. 1 – tav. 1), posta sul primo altare a destra della chiesa della Trinità dei Pellegrini, la quale, per la scelta iconografica, richiama a viva voce la tela di identico soggetto eseguita dallo Stanzione per la chiesa di S. Brigida, mentre nella parte superiore si può apprezzare un sostrato di cultura neoveneta desunto attraverso le tenerezze cromatiche di un Cesare Fracanzano ed un’attenzione agli esempi di Guido Reni. La scena rappresenta il santo con le mani al cielo nel momento in cui raccomanda al bambin Gesù, circondato da angeli, un confratello della Congrega dei Pellegrini intento a lavare i piedi ad un povero, mentre in alto assiste benevolo il Padre Eterno, che rivedremo simile in altri lavori del pittore, in particolare nell’ex monastero della Pietrasanta, oggi caserma Del Giudice dei vigili del fuoco, dove compare con le medesime sembianze. Il De Dominici riferisce che il quadro venne eseguito talmente bene da ingannare i visitatori, che lo ritenevano opera del suo maestro Vaccaro. Nella sottostante chiesa di Materdomini è conservata una tela, copia da Maratta, raffigurante S. Filippo Neri che prega davanti all’effige della Madonna(tav. 2), attribuita da parte della critica al Farelli, ma che noi riteniamo vada decisamente espunta dal suo catalogo. Alcuni anni dopo, grazie all’interessamento del Vaccaro e del Di Maria, che avevano creato una sorta di fronda anti Giordano, il Farelli riesce ad ottenere dai padri lucchesi la committenza per la pala sull’altar maggiore della chiesa di S. Brigida, relegando nel transetto lo stesso Giordano e lo Stanzione. Egli esegue una Visione di S. Brigida che contempla i simboli della Passione(tav. 3 – fig. 2) con grande maestria, consigliato dal Vaccaro ed adoperando colori dolci e pieni di morbidezza, che fecero apparire ai professori preziosa la sua pittura, pur nel rispetto di una serrata costruzione dei volumi. La tela è firmata, ma non è stato fino ad ora reperito il documento di pagamento. In ogni caso la data di esecuzione è certamente il 1655, quando fu eseguita la pala del Giordano, perché non è ipotizzabile che la pala principale venisse commissionata dopo quelle laterali. Alla tela per S. Brigida seguirono la S. Anna (già molto restaurata nel Settecento) e l'Assunta per S. Maria Maggiore, più conosciuta come chiesa della Pietrasanta, delle quali non possediamo immagini, anche se le tele esistono ancora in un deposito della sovrintendenza dove giacciono da decenni in precario stato di conservazione. Ce le descrivono il Sigismondo ed il Galante, anche se quest’ultimo non ne identifica correttamente l’autore. La tela raffigurante l’Assunta, con gli apostoli attorno al sepolcro, ricorda vagamente nella composizione, secondo la Gallichi Schwenn, quella eseguita dal Tiziano, con un atteggiamento delle figure molto più movimentato, mentre la S. Anna rammenta la maniera del Di Maria. La santa è col Bambin Gesù nel grembo, con la Beata Vergine posta in ginocchio davanti a loro, mentre alla scena assistono San Giuseppe e San Gioacchino, oltre ad un nugolo di angioletti. Nel ex monastero attiguo alla chiesa, oggi caserma Del Giudice dei vigili del fuoco, è presente una tela del Farelli raffigurante l’Eterno Padre(fig. 3), alla quale va collegato un disegno preparatorio(fig. 4), già nella collezione Ferrara Dentice ed oggi nel museo di San Martino, mentre nella cappella è conservata un’Annunciazione nella quale si colgono lampanti affinità con la tela di identico soggetto oggi nella chiesa di S. Brigida, ma proveniente dalla chiesa di San Luigi di Palazzo demolita nel 1810. Il foglio riporta sul retro un’iscrizione:Farelli e secondo la Pastorelli rappresenta lo studio per l’affresco sito nella volta della chiesa di San Filippo all’Aquila, databile a prima del 1676. La fonte ispirativa è senza dubbio, come ha sottolineato la Causa Picone, l’Eterno Padre che il Lanfranco, tra il 1630 ed il 1636, affrescò al centro del Paradiso nella cupola della Cappella del Tesoro di San Gennaro. Nel museo di San Martino si conserva un altro disegno(fig. 5), attribuito al Malinconico, che a mio parere deve essere assegnato al Farelli, come ulteriore studio preparatorio per l’affresco aquilano, essendo riscontrabili analogie stilistiche anche con gli affreschi nella chiesa dei SS. Apostoli, firmati e datati 1671. Nella cappella della Concezione, sita negli ambienti della sacrestia della celebre Cappella del Tesoro nel Duomo vi è un ciclo ad affresco con Storie della Vergine e Simboli dell’Immacolata eseguito dal Farelli, dopo che lo stesso era stato iniziato da Luca Giordano. Il Nostro si impegna a proseguire il lavoro del collega e “raggiunge uno dei suoi livelli più alti in un confronto appassionato e studioso col linguaggio barocco di Preti, Giordano, Lanfranco e Beinaschi”(Leone de Castris). I lavori del Farelli vengono descritti dal De Dominici, il quale, oltre a giudicarli negativamente, li colloca cronologicamente in un momento che i documenti hanno smentito. Infatti oggi sappiamo con certezza, grazie alle polizze pubblicate da Strazzullo, le quali coprono un arco temporale dal giugno del 1664 all’aprile del 1665, che la Deputazione del Tesoro aveva affidato nell’ottobre del 1663 la decorazione a Luca Giordano, offertosi a lavorare gratis per devozione, completando la committenza entro un anno. Nel mese di novembre il pittore consegna i disegni preparatori per l’approvazione in cambio delle sole spese., ma nei primi giorni dell’anno successivo, preso da molteplici impegni, si vede costretto a declinare l’incarico, che viene assunto dal Farelli, anche lui disposto per devozione a rinunciare ad ogni compenso. Certamente sua e l’Immacolata(tav. 4), firmata, posta nella volta ed a nostro parere, anche se parte della critica è discorde, anche le Storie della Vergine nelle lunette e gli Angeli con simboli della Passione nei peducci. Le cinque lunette raffigurano un Cristo morto, l’Annunzio dell’angelo a S. Anna, S. Anna e San Gioacchino(fig. 6), in cui compare la figura del giovane a torso nudo ripreso di spalle, una consuetudine nella pittura napoletana post caravaggesca, la Nascita di Maria e Maria che va al Tempio; quest’ultima lunetta segnata palpabilmente dall’influenza del Domenichino, mentre gli altri affreschi manifestano una chiara adesione alla coeva corrente classicista romana. Sappiamo dal Chiarini che il Farelli affrescò la volta della cappella di San Liborio nella chiesa di San Carlo alle Mortelle, ma il suo lavoro, rovinatosi, venne imbiancato e ridipinto dal De Bellis. Nell’Arciconfraternita dei Verdi, annessa alla chiesa dello Spirito Santo, gli appartiene il quadro dell’altar maggiore, raffigurante una Natività, la quale sia nell’impostazione che nell’illuminazione, tradisce l’ispirazione reniana, magistralmente espressa nel dipinto di egual soggetto conservato nella Certosa di San Martino. Per la chiesa di San Michele Arcangelo al Vomero esegue una serie rappresentante i miracoli di San Francesco attualmente dispersa e sempre per l’ordine dei Paolotti dipinse nel coro della chiesa di S. Maria della Stella tre tele distrutte da un incendio provocato dai bombardamenti del 1943. Esse raffiguravano una Madonna che appare a San Francesco(fig. 6) sulla parete di fondo, di cui si conserva una foto nell’archivio della sovrintendenza, Cristo caccia i mercanti dal Tempio alla parete sinistra e Cristo e l’adultera a destra, del quale, come riferito dalle fonti, esisteva in collezione Capomazza a Napoli un quadro corrispondente(fig. 7) nel quale, come afferma Pavone” si rende esplicito riferimento ad una rilettura del Ribera in chiave classicistica per quanto riguarda le figure dei vecchi; mentre il volto dell'adultera trova coincidenza, fin nei riccioli che ricadono sulla fronte, col San Michele del Transito di S. Giuseppe, non meno che con la Vergine del Riposo, sempre in San Giuseppe a Chiaia”. Le tre tele vengono puntigliosamente descritte dal Chiarini e sulla base di questa lettura la Gallichi Schwenn le interpreta in chiave tintorettesca. Egli affermava:”Le figure generalmente di poco colorito sono tutte sforzate nei movimenti inclusa quella del Salvatore”. Ed a proposito dell’adultera scriveva:” Scappò di mano al dipintore una magnifica bellezza nella persona della donna adultera, in piedi, che tra le grazie affettate della sua mala condotta e della presente rassegnazione al cospetto dell’Uomo Dio”… ed infine del quadro della Madonna:” Squisitamente condotta con una luce ed un colorito bellissimo”. Ad un arco temporale dal 1644 al 1681 appartengono le 12 tele ovali poste tra i finestroni della chiesa di S. Maria Reginacoeli, che il Galante sorprendentemente assegna al Farelli, in contrasto con tutte le principali guide sette ed ottocentesche le quali indicano come autori principali Giordano e Micco Spadaro. La paternità dei quadri, poco studiati perché poco visibili, è stata affrontata dalla Nappi in occasione della revisione della Guida Sacra operata nel 1985 e, seguendo una comunicazione orale di Spinosa, al Farelli spetterebbe unicamente una S. Brigida. Nel 1670 il pittore consegna la sua S. Anna offre la Vergine bambina al Padre Eterno(tav.5), che viene posta nella zona absidale della chiesa del Purgatorio ad Arco sopra la celebre pala d’altare dello Stanzione raffigurante la Madonna delle anime purganti. La tela è uno sfolgorio di colori e rappresenta un vero e proprio omaggio al Giordano, in grado di influenzare anche un artista formatosi in ambito diverso, più tradizionalista ed attento alla lezione di un maestro più antico, ma fondamentale, come il Lanfranco. Un vero capolavoro di cromatismo, dominato da tinte azzurre e verdi, che si perdono in un poderoso violaceo nelle parti più scure, dando luogo ad un colorismo piacevole e talmente luminoso da apparire raggiante. Maria troneggia tra le nubi nella gloria dell’Eterno Padre, la cui testa appare al di sopra delle spalle della Madonna. Più in basso S. Anna inginocchiata ai piedi di lei, supplica le anime purganti, mentre un bell’angelo, che sembra prelevato dalle cupole del Correggio, guarda indifferente verso il basso la valle di pena del Purgatorio.(continua) Achille della Ragione
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