Napoli: Teste matte, sbanca le classifiche il libro di Salvatore Striano
Salvatore Striano ha respirato aria di camorra fin da bambino:è cresciuto nei quartieri spagnoli, tra droga ed illegalità e ha imboccato molto presto la strada sbagliata che lo ha portato diritto in carcere. Dopo aver passato otto anni in carcere, ha stupito tutti recitando nel film GOMORRA di Matteo Garrone e in CESARE DEVE MORIRE dei Fratelli Taviani, Orso d’oro a Berlino.
Adesso Salvatore (Sasà) Striano racconta il suo passato. La storia di un gruppo criminale – LE TESTE MATTE – che ha osato sfidare il potere dei boss, un libro scritto a quattro mani col regista Guido Lombardi. “Tutti possiamo morire. Ogni giorno. Ma non tutti viviamo con questo pensiero. Non tutti pensiamo che ogni volta che mettiamo il piede fuori di casa possiamo essere uccisi. La nostra storia è cominciata quasi per gioco una mattina di trent’anni fa. A nove anni e già orfani dell’innocenza.Quartieri spagnoli. Il centro di Napoli. Negli anni Ottanta il paradiso della criminalità. C’è un clan che domina tutto e tutti, la famiglia Viviani. E c’è un bambino, Sasà, già stanco di sottomettersi. Lui e suo cugino Totò sono artisti del furto, mariuoli sempre alla ricerca di occasioni. Tra contrabbando, prostitute, soldati americani, troveranno presto un protettore, il ladro più abile del quartiere, ’O Barone. La madre, Carmela, prova a frenare quel figlio che cresce troppo in fretta. Lei sa cos’è la malavita: suo fratello è in carcere per omicidio, da allora combatte contro chi si vuole vendicare. Così Sasà si trova di fronte a una scelta paradossale, eppure l’unica possibile: entrare nella camorra per difendersi dalla camorra. Non ancora maggiorenne incontra i due uomini che gli cambieranno la vita: un trafficante di coca che tutti chiamano Rummenigge e un bandito detto Cheguevara per il suo spirito rivoluzionario. Insieme combatteranno contro il boss dei Quartieri spagnoli, ’O Profeta, dando vita alla prima vera scissione nella storia della camorra napoletana. Dalle ceneri di questa guerra, nascerà qualcosa di mai visto prima: LE TESTE MATTE. Ragazzi così pazzi da dichiarare guerra a tutti i clan di Napoli. Un romanzo travolgente e feroce, costruito sulla storia vera ed estrema di un gruppo criminale che ha osato combattere la camorra con le sue stesse armi. GUIDO LOMBARDI (Napoli 1975) è regista, sceneggiatore e scrittore. Nel 2011 realizza il suo primo lungometraggio, Là-bas, vincitore del Leone del Futuro alla 68a Mostra internazionale di arte cinematografica di Venezia. Del 2013 è la sua opera seconda Take Five, in concorso al Festival di Roma e in cui figura come protagonista proprio Salvatore Striano. Sempre nel 2013 pubblica il suo primo romanzo, Non mi avrete mai (con Gaetano Di Vaio), edito da Einaudi. SALVATORE STRIANO è stato tante cose. Detenuto tre anni in Spagna e cinque a Rebibbia, ha incontrato un maestro, Fabio Cavalli, che gli ha ricordato che lui era prima di tutto un attore. Da allora è stato un camorrista per Matteo Garrone, un rapinatore per Guido Lombardi e molti altri personaggi, al cinema e in tv. Nel 2012 arriva la consacrazione. Il film Cesare deve morire dei fratelli Taviani, tratto dal Giulio Cesare di Shakespeare e dove lui interpreta il ruolo di Bruto, vince l’Orso d’oro al Festival di Berlino. Come nel piccolo teatro del carcere di Rebibbia, ancora una volta Shakespeare ha dato una nuova direzione alla sua vita. BRONX FILM PRODUZIONI di Gaetano Di Vaio realizzerà prossimamente un film tratto da questo romanzo. Vogliamo far conoscere l’autore proponendo il capitolo a lui dedicato nel III tomo del nostro libro Quei napoletani da ricordare, intitolato Striano chi era costui? Manzoni avrebbe esclamato: “Carneade chi era costui ?”. Il lettore più semplicemente: “ma Striano chi lo ha mai sentito ?”. Come definire il personaggio: “un avanzo di galera”, sarebbe offensivo oltre che riduttivo. Ma partiamo dal principio. Salvatore Striano è nato a Napoli nel 1974. Durante un periodo di reclusione nel carcere di Rebibbia, ha frequentato corsi di recitazione, appassionandosi al teatro, soprattutto shakespeariano. Dopo essere uscito grazie all’indulto nel 2006, ha esordito nel cinema grazie al regista Matteo Garrone, che l’ha scritturato per il film Gomorra, tratto dal bestseller di Roberto Saviano. Dopo alcuni anni è ritornato in veste di attore a Rebibbia, dove ha interpretato il ruolo di Bruto nel film dei fratelli Taviani Cesare deve morire Nel 2013 interpreta il ruolo di Vincenzo De Marchi nella fiction di Canale 5 diretto da Alexis Sweet Il clan dei camorristi. Il 17 Ottobre dello stesso anno interviene al programma di approfondimento politico Servizio pubblico per portare la sua testimonianza sull’emergenza carceri, sulla rieducazione all’interno di esse e sul tema dell’indulto. Salvatore Striano si è formato professionalmente a Roma, all’interno del carcere di Rebibbia. Dopo aver conosciuto la dura esperienza del carcere minorile, è stato infatti recluso per alcuni anni nel carcere romano, dove grazie ai laboratori condotti dal regista Fabio Cavalli, ha scoperto Shakespeare e il teatro. Di nuovo libero, con l’indulto del 2006, ha perciò intrapreso un’intensa attività di attore, dapprima in teatro, con lo stesso Cavalli, con Emanuela Giordano e con Umberto Orsini, che gli affida un ruolo di rilievo, ne La Tempesta di Shakespeare. L’esordio cinematografico è in Gomorra di Matteo Garrone, Gran Premio della giuria al 61 Festival di Cannes e Miglior Film Europeo dell’anno. A seguito del quale viene anche chiamato da Abel Ferrara (Napoli, Napoli, Napoli), Marco Risi (Fortapàsc), Stefano Incerti (Gorbaciof), e, più recentemente, Alessandro Piva (I milionari). Ma la sua vera consacrazione di attore è nel 2012, con l’interpretazione del personaggio di Bruto in Cesare deve morire di Paolo e Vittorio Taviani (Orso d’oro al Festival di Berlino 2012), per il quale è ritornato per diverse settimane a Rebibbia, negli stessi luoghi che lo avevano visto privato della libertà. Di recente è stato anche chiamato a interpretare alcune miniserie per la tv, tra cui Il clan dei camorristi per la regia di Alexis Sweet. Una sua intevista-confessione è contenuta nel documentario di Giovanna Taviani dedicato alla sua storia, il riscatto. Per quel che riguarda il Giulio Cesare di Shakespeare rinvio al relativo capitolo del mio libro Favole di Rebibbia: Rebibbia uber alles. Trionfa al festival di Berlino il film dei fratelli Taviani. Il penitenziario del carcere di Rebibbia è da alcuni mesi al centro dell’attenzione dei mass media internazionali. Prima la visita del Pontefice, il quale, in occasione delle festività natalizie, non si è dimenticato di andare a visitare le sue pecorelle smarrite; ieri il trionfo, dopo oltre venti anni, al prestigioso festival di Berlino del film documentario dei fratelli Taviani, interamente girato nel carcere romano, con i detenuti che mettono in scena il “Giulio Cesare” di Shakespeare. Una pellicola che non vuole compiacere il gusto del pubblico, ma intende scuotere le nostre certezze morali e civili, puntando l’indice sul disastro del nostro sistema penitenziario, dove la dignità umana viene calpestata ogni giorno, trasformando esseri umani, pur colpevoli di efferati delitti, in automi disarticolati, in pallidi ectoplasmi, a volte in marionette impazzite. Il pubblico applaude con entusiasmo, ma molti hanno le lacrime agli occhi, al pensiero che i bravissimi attori: Cosimo, Salvatore, Fabio, Giovanni, Antonio, Vincenzo e Gennaro non sono presenti, rinchiusi nella solitudine delle loro celle. Le scene sono state girate all’interno del reparto di massima sicurezza, nelle celle, nei cortili angusti e claustrofobici che costituiscono l’universo desolante di persone, le quali a contatto con le parole immortali del grande genio, hanno conosciuto una nuova dimensione provocando dirompenti emozioni. Il film parla di intrighi, tradimenti, morte, uomini d’onore, una terminologia familiare per chi vive nel braccio di massima sicurezza e per chi è condannato per omicidio, mafia, criminalità organizzata. Comincia a colori con il finale del “Giulio Cesare”, per proseguire poi con un livido bianco e nero. L’energia della narrazione vive nello stridente contrasto tra i silenzi delle celle e la forza straripante della rappresentazione teatrale, con la struggente malinconia, alla fine dello spettacolo, del ritorno alla desolante realtà della reclusione. Si tratta di un riconoscimento che, oltre a gettare di nuovo luce su un tema di scottante attualità, come la drammatica situazione in cui versa il nostro sistema carcerario, costituisce un plauso ai tanti volontari, che tentano con ogni mezzo anche attraverso l’arte ed il teatro, il recupero di tante vite difficili. Il film è stato già visto in mezzo mondo, dalla Francia all’Inghilterra, dal Brasile all’Australia, fino addirittura alla Norvegia ed all’Iran e siamo certi che sarà accolto con interesse anche dal pubblico italiano. Attualmente sta lavorando alla preparazione di un film Take Five per la regia di Guido Lombardi. TAKE FIVE è il racconto di una rapina rocambolesca, messa in atto, con coraggio e incoscienza, da cinque “irregolari” del crimine. Un idraulico con il vizio del gioco indebitato con la mala (Carmine), che, chiamato, a riparare una perdita fognaria all’interno di una banca. si fa venire un’idea disonesta a pochi metri dal suo prezioso caveau. Un ricettatore con diversi anni di carcere alle spalle (Gaetano), che quell’idea raccoglie. Mettendo insieme una squadra, anzi, come si dice a Napoli, dov’è ambientata la storia, una “paranza”. C’è il fotografo di matrimoni (Sasà), che ha avuto un brutto infarto, ma prima era il miglior scassinatore della piazza; il giovane nipote di Gaetano (Ruocco), pugile dotato, ma squalificato a vita per aver rotto una sedia in testa a un arbitro. E non basta. Si aggiunge pure lo Sciomèn, il più “leggendario” tra i gangster cittadini, sia pure di un altro decennio, appena uscito da una lunga reclusione, oggi fragile e depresso. I cinque non hanno granché in comune. Se non il desiderio, meglio la necessità, di riscattare, o semplicemente salvare, la propria esistenza, con una potente iniezione di denaro. Ma i soldi rendono fragile qualsiasi alleanza. I cinque saranno uniti e solidali fino a quando Gaetano, l’uomo che li ha chiamati e di cui tutti si fidano, scompare, e con lui il bottino milionario. Nell'incertezza di quello che è realmente accaduto, e nella speranza di veder ricomparire l’amico, i quattro banditi rimasti attendono inermi nella loro tana. Ma il tempo mette a dura prova i loro nervi. Nascono incomprensioni, si disfano alleanze. Compare anche una minaccia che nessuno sembrava aver previsto: ‘o Jannone, il potente boss cittadino sa della rapina e vuole la sua parte di un bottino che ancora non esiste... In chiusura vorrei accennare al mio incontro con Striano avvenuto nella biblioteca del carcere di Rebibbia nel corso di una serie di incontri con l’autore organizzato dal laboratorio di scrittura creativa diretto dalla professoressa Luciana Scarcia. Egli dichiarò di essere stato contattato da editori importanti per scrivere… la sua vita, ma di aver rifiutato perché sarebbe stata scritta da un gosth writer. Che la sua attività di attore gli permetteva a stento di sopravvivere e che riteneva più disonesti gli imprenditori che tenevano i dipendenti al nero che i delinquenti che si presentavano per chiedere il pizzo. Ed infine che nel rapporto credito debito riteneva di aver retribuito la società per i reati commessi. Achille della Ragione
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