Incontro con lo scrittore Domenico Rea Organizzato dal Circolo Sadoul e dal Centro di Ricerche Storiche d’Ambra si è tenuto, presso l’Aula Magna della Scuola Media Statale di Ischia, l’atteso incontro con lo scrittore Domenico Rea sulla sua ultima fatica letteraria <<Pensieri della Notte>>, Editore Rusconi, libro dedicato al direttore de ”Il Mattino Pasquale Nonno” ed al giornalista Giacomo Lombardi.
I lavori sono stati introdotti nell’ordine: dal prof. Edoardo Malagoli e dall’avv. Nino d’Ambra, che hanno parlato dell’iter letterario dello scrittore. Indi ha preso la parola Domenico Rea che, tra l’unanime attenzione del numerosissimo pubblico intervenuto, ha parlato con un grande calore della <<sua>> Napoli. Ne è seguito un acceso e interessantissimo dibattito che ha posto in luce le mille facce della <<napoletanità>>. Riportiamo l’intervento di Nino d’Ambra per il particolare approfondimento delle tematiche dell’opera di Domenico Rea e del rapporto dello scrittore con Napoli. Alcuni hanno voluto vedere negli argomenti trattati da Rea una continuazione del neorealismo sorto nel dopoguerra. Noi dissentiamo da tale parere, Rea non <<racconta>> Napoli da cronista, come potrebbe sembrare ad una analisi approssimativa. Napoli per lui è solamente un’occasione, un pretesto: Napoli è diventata parte della sua vita e del suo itinerario psicologico-culturale, per poi trasformarla in senso (oserei dire) surrealistico, proiettandone le tematiche in una dimensione universale a mezzo di una sicura e originale operazione letteraria. Il facile accesso ai risultati delle sue ricerche è indice di sicurezza e di umiltà sostanziale. Il tumulto che a volte lo domina, prima di mettere la penna sulla carta e la conseguente angoscia che lo spinge ad una revisione continua del testo in un anelito quasi ossessivo, di perfezione, sono momenti transeunti e non fanno stato ai fini delle analisi delle tematiche e della resa letteraria di Domenico Rea, quello che <<conta>> è il risultato, è l’ultima stesura (se, per uno scrittore della sua portata, può esistere un’ultima stesura).
Altri analizzano (erroneamente) le opere di Rea partendo dalla sua personale valenza sociale e dalla sua vis polemica, che si potrebbero paragonare ad un mare agitato e prorompente sugli scogli a differenza della sua prosa che è come il lago di Misurina: ti affascina e ti magnetizza soggiogandoti completamente: i tumulti del polemista e dell’insoddisfatto non esistono più, tabulati attraverso il lunghissimo travaglio dello scrittore che è riuscito a trasformare in arte anche la sua angolosità caratteriale, capovolgendone completamente i termini. Se noi volessimo <<vedere>> le opere, da Caravaggio a Foscolo, alla luce dell’impatto che gli autori ebbero con le società dell’epoca, ci porremmo da una angolo visuale distorto, atto solamente a condurci fuori strada. Le realtà di Napoli – che sono rimaste immutabili dalla notte dei tempi – trovano la loro genesi in una miriade di fattori storico-sociali, che è umanamente impossibile racchiudere in una sintesi. Ecco perché tutto il Meridionalismo itinerante, dai tempi di Giustino Fortunato ad oggi, non è servito a modificare la realtà sociale di Napoli, anche se è stato utilissimo a farci capire che strade solite, con Napoli e con il Meridione in genere, sono da evitare. Come i provvedimenti legislativi e i massicci interventi finanziari, pur partendo da intenzioni lodevoli, non incidono minimamente in senso positivo (e, diciamolo pure, europeistico) sulla mentalità meridionale e, segnatamente, napoletana, non fuoriescono dalle utilità meramente pratiche ed immediate.
Che c’entra Rea con questa mentalità e modi di essere immutabili. Ve lo dico subito. Secondo me, la modifica può avvenire solo dall’interno, molto lentamente operando per una inversione di tendenza che forse fra cento anni farà assaporare i suoi frutti. E sono uomini della levatura di Rea che, rimanendo <<sul fronte del porto>>, con denunzie e sottolineature, continue e persistenti, da napoletano a napoletano, (da lontano non avrebbe comunque efficacia, perché potrebbero apparire congiure <<nordiste>>), possono contribuire ad una presa di coscienza collettiva, sempre respinta in ogni situazione sociale e in ogni circostanza storica, per uscire dal baratro dell’acquiescenza e dell’ineluttabilità.
Ma dobbiamo anche constatare con rammarico che, a differenza di Rea, la maggioranza degli intellettuali napoletani è fuggita <<dal fronte>>, allontanandosi da Napoli, per adagiarsi in posizione di assoluta sicurezza, rinunziando – per un successo più facile – ad una vita più agiata e serena e alla missione di avanguardia per la modifica di quella mentalità più deteriore che, nelle loro mani da prestigiatori accorti ed assennati, è diventata spettacolo e, conseguentemente, investimento ad alto reddito.
Non è il numero degli intellettuali, degli scrittori, degli artisti, degli attori, dei poeti, dei musicisti e degli uomini di cultura in genere, che costituisce il modo di essere, la <<faccia>> di un popolo, né la mera quantità (anche cospicua) contribuisce a sfoltirla delle connotazioni peggiori – anzi spesso diventano essi stessi degli alibi esiziali, una pesante ipoteca sulla immodificabilità -, ma solamente il loro sofferto apporto, ostinato, persistente, di una forza caparbia che solo l’amore disinteressato per la propria terra può sostenere anche se non contraccambiato: come un rivolo perenne, goccia su goccia, che con i secoli buca la pietra più resistente. Se Domenico Rea avesse <<tradito>< Napoli (intellettualmente, s’intende), trasferendosi in una città del Nord, o addirittura all’estero, come hanno scelto di fare altri, oggi sarebbe uno degli scrittori più riveriti, corteggiati ed <<opulenti>> a livello internazionale. Ma è rimasto qui, <<sul fronte del porto>>, come dicevo poc’anzi. Ed io, a nome di quei meridionali che la pensano come me, sento il dovere di dire grazie a Domenico Rea di essere rimasto in trincea, in prima linea, a combattere con pochi ardimentosi, coraggiosamente, per la elevazione di un popolo a cui danno fastidio gli eroi se non servono da alibi alla permanenza ed alla immutabilità. Maratona docet!
Ma una altro grazie a Rea, per il suo personale, elevato e poetico messaggio di <<napoletanità>> diversa, che travalica i confini nazionali ed europei (infatti i suoi libri sono stati tradotti in quasi tutte le lingue, compreso il cinese) per approdare nelle regioni più impensate, lanciando ponti volanti ideali in tutte le direzioni, su cui un giorno – forse lontano, è vero – passerà un’altra napoletanità, una napoletanità ora di esigua minoranza che, diventata maggioranza, ricorderà le sue radici: nei movimenti libertari del 1794 e della Repubblica Napoletana del 1799, nei moti del 1821 e del 1848, nei migliori valori del nostro Risorgimento nazionale e della Resistenza, e, perché no, nell’autentica epopea delle Quattro Giornate di Napoli. Nino d’Ambra [Ischia Oggi del 27/01/1988, pag. 13].
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