Intervento a sorpresa dei discendenti, e il giudizio degli storici sull'opera dei sovrani Borbonici da Ferdinando I a Francesco II Ufficializzata la protesta contro l’intitolazione della Piazza Antica Reggia a Ferdinando II. Al grido di protesta e di indignazione lanciato dal Centro di Ricerche Storiche d’Ambra, per avere il Comune di Ischia dedicato al famigerato Ferdinando II di Borbone piazza Antica Reggia in Ischia Porto davanti al noto Palazzo Reale, sono accorse tantissime persone, tanto da riempire fino all’inverosimile, la Sala conferenze.
L’assemblea dei presenti, di propria autonoma iniziativa, ha fortemente voluto che gli organizzatori inviassero a suo nome un appello al Sindaco d’Ischia, alla Prefettura ed alle altre Autorità competenti per il ripristino dell’antichissimo toponimo”Piazza Antica Reggia” che, a parte le considerazioni storiche, è uno dei toponimi più significativi e pregnanti di tutta l’Isola d’Ischia. L’incontro era iniziato al mattino con l’esposizione sui balconi del Centro d’Ambra delle bandiere, a mezz’asta, della Repubblica Italiana e della Repubblica Napoletana, al suono dell’Inno di Mameli e della Marsigliese. La sera, puntuale alle venti, è accorsa al richiamo dei martiri ischitani per la Libertà, tanta di quella gente che era seduta persino sulle scale. Eccezionali “testimonial”, fra gli altri, sono stati alcuni discendenti diretti dei martiri stessi e dei perseguitati dai Borbone del 1799 e del 1848, periodi in cui si estrinsecò maggiormente la ferocia della Dinastia borbonica; quattro laureate ischitane che negli anni scorsi hanno svolto, con impegno e con acume, le rispettive tesi di laurea relativamente all’argomento della serata; nonché il Sindaco di Forio dr. Franco Regine, la cui significativa presenza è stata particolarmente apprezzata dai presenti. La serata è stata introdotta dall’avv. Nino d’Ambra, presidente del Centro di Ricerche Storiche d’Ambra, che ha fatto un’ampia panoramica sulle mostruosità eseguite a danno della libertà fisica, morale e intellettuale dei sudditi del Regno delle Due Sicilie, da Ferdinando I a Francesco II «indegni discendenti dell’illuminato Carlo III, che pur un Borbone era». La repressione del 1848 Ha detto, fra l’altro, che Ferdinando II (1810-1859), nel settembre 1848 a Messina fece bombardare la popolazione siciliana che richiedeva libertà e condizioni di vita migliori, tanto che è stato affidato alla storia con il noto soprannome di “Re bomba” ; che nel 1844 non esitò a far fucilare, dopo un simulacro di processo, i giovani fratelli Attilio e Emilio Bandiera; che nel 1850 abolì la libertà di stampa; che il 15 maggio 1848 ordinò ai suoi fucilieri di sparare sui trecento ischitani (e su altri) che avevano aderito ad una manifestazione di protesta contro il suo regime oppressivo ( capeggiati da Giuseppe Pezzillo di Forio – che in tale circostanza morì eroicamente assieme ad Aniello d’Ambra – e da Luigi Manzi di Casamicciola). In quella luttuosa circostanza ci furono 145 morti, 266 feriti e 520 arrestati( statistica borbonica); che nel 1857 fece massacrare senza pietà Carlo Pisacane e i suoi compagni (La Spigolatrice di Sapri); che dopo aver concesso la Costituzione il 29 gennaio 1848, non si vergognò di fronte all’Europa di abolirla pochi mesi dopo. Infine lo statista britannico W. E. Gladstone, nel 1851, dopo aver visitato le carceri borboniche, ebbe a giudicare il sistema di governo di Ferdinando II con la famosa espressione “la negazione di Dio”. Indi l’avv. d’Ambra, con documenti dell’epoca alla mano, quasi tutti di provenienza borbonica, messi a disposizione del pubblico presente, ha illustrato, nel dettaglio, le nefandezze criminali, subite dai martiri e perseguitati ischitani nel 1799 e nel 1848 sotto la feroce dittatura di Ferdinando II (al confronto quella fascista era “rose e fiori”, pur tenendo conto delle diverse epoche storiche; anche se i delitti contro l’Umanità non hanno giustificazioni di sorta). In una relazione ispettiva indirizzata a Ferdinando II del 1851, si afferma che nelle carceri borboniche,compresa quella del Castello d’Ischia, vi erano ben 46.000 detenuti politici! Lo storico va alla ricerca spasmodica della verità – ha continuato l’oratore – specie quando si tratta di ricostruire vicende del passato che riguardano la memoria storica della propria Comunità, altrimenti fa demagogia o politica di bassa lega. Ed è proprio nel risultato della ricerca la grande gratificazione spirituale. Fra i numerosi messaggi di solidarietà e di partecipazione al significato profondo della protesta, è pervenuto quello della prof.ssa Dora Marucco, titolare della Cattedra di Storia e di Istituzioni Politiche dell’Università di Torino: « Condivido l’indignazione e plaudo all’iniziativa. Ci sono gesti simbolici che devono essere compiuti se non si vuole cancellare la storia e permetterne l’indegna manipolazione. L’elenco mi è molto utile per conoscere i martiri ischitani assai più numerosi di quanto non pensassi. Con gratitudine e stima». Nonché dell’ing. Domenico d’Ambra che vive a Milano, discendente in via collaterale del martire ischitano Aniello d’Ambra trucidato dalla soldataglia borbonica, assieme a Giuseppe Pezzillo (ed assieme ad altre decine e decine di patrioti di Napoli e provincia), durante la grande protesta del 15 maggio 1848 a Napoli: « Purtroppo non potrò partecipare di persona a questa importante manifestazione, ma vi sarò vicino col pensiero e con spirito libertario. Certamente l’iniziativa del Comune di Ischia è frutto di una inqualificabile ignoranza della Storia, tanto più inqualificabile in quanto si tratta della storia recente della propria terra. Purtroppo dobbiamo, ancora una volta, registrare che tra i nostri “amministratori” allignano, sempre più numerosi, personaggi che affrontano l’impegno politico con molta superficialità e scarsissima preparazione culturale. Ti rinnovo la mia più ampia solidarietà ed abbraccio affettuosamente tutti coloro che interverranno all’incontro». I discendenti Ma il momento più toccante della serata è stato quando l’avv. d’Ambra ha presentato i discendenti dei martiri ischitani del 1799 e del 1848, accolti dagli intensi applausi dei presenti: - L’avv. Luigi Telese (già Sindaco d’Ischia ), discendente del capitano del Castello d’Ischia Francesco Buonocore, impiccato a Procida il 1° giugno 1799. La casa del martire era proprio il Palazzo Reale d’Ischia (attuali Terme Militari), davanti alla quale è ubicata la piazza della discordia, che è stata dedicata a Ferdinando II di Borbone, appartenente a quella famigerata Dinastia che dette l’ordine di ucciderlo. Iniziativa più blasfema di questa non ci poteva essere. - Signora Pina Provenzano Spera, discendente dell’avv. Saverio Biondi, che nel febbraio 1799 innalzò, davanti al Municipio di Forio, assieme al sacerdote Gaetano Morgera e ad altri, l’Albero della Libertà in segno di adesione alla Repubblica Napoletana. Mentre il Morgera fu impiccato a Napoli in Piazza Mercato il 22 ottobre 1799, l’avv. Biondi, travestitosi da contadino ischitano, riuscì a riparare in Francia dopo mille traversie, da dove ritornò nel 1806 per dirigere l’allora casa-albergo “Villa Arbusto” a Lacco Ameno. - Il dr. Gianni Pezzillo, discendente diretto di Giuseppe Pezzillo, repubblicano radicale, che fu uno dei principali organizzatori della protesta del 15 maggio 1848 a Napoli, trucidato dai lanzichenecchi borbonici. - Il dr. Maurizio d’Ambra, discendente di Aniello d’Ambra che fu trucidato, assieme al suo maestro Giuseppe Pezzillo, nella stessa circostanza. In rappresentanza dei discendenti dei martiri e perseguitati del 1799, ha preso la parola l’avv. Luigi Telese che, con commozione e partecipazione, ha rievocato la figura del suo antenato Francesco Buonocore, che nulla di tanto grave aveva commesso, anche in considerazione delle leggi di allora, per meritare la morte. La madre Giuseppina Corbera di Casamicciola, impazzì dal dolore appena le portarono la ferale notizia che il figlio di 30 anni era stato impiccato a Procida. Non si riebbe più fino alla fine dei suoi giorni. In rappresentanza dei discendenti dei martiri e perseguitati del 1848, ha preso la parola il dr. Gianni Pezzillo che ha parlato del suo antenato Giuseppe e del di lui fratello Giovanni (di cui porta il nome) che tanto contribuirono, con sacrifici immani, alla lotta per l’Unità d’Italia. La lapide che campeggia sulla sua casa al centro di Forio, voluta dal Centro di Ricerche Storiche d’Ambra e dal Comune di Forio, insegna alle giovani generazioni quello che il radicale Giuseppe Pezzillo ebbe a dire a conclusione di un suo famosissimo proclama: « La Libertà non manca mai a coloro che rischiano tutto per ottenerla». Gli studi più recenti Altro momento pregnante della serata è stato l’intervento delle quattro laureate ischitane, Loretta Schiano, Lucia Cuomo, Silvana Maschio e Maria Pollio le quali, con espressioni di alti sentimenti, hanno parlato, fra l’altro, della scelta dei rispettivi temi trattati e dell’avidità culturale di conoscere, principalmente attraverso documenti dell’epoca, la storia della propria terra. Hanno concluso la serata Rosa Genovino, Ilia Delizia e Rosario de Laurentis esponendo i rispettivi punti di vista, tutti ottimamente motivati, sulla improvvida iniziativa di modificare il bellissimo ed antico toponimo “Piazza Antica Reggia”. L’architetto Ilia Delizia, professore di Urbanistica presso l’Università di Napoli, ha aggiunto una oculata annotazione tecnica, basata sui documenti dell’epoca, sul perché Ferdinando II di Borbone si decise, a spese dei contribuenti, di trasformare in porto il vecchio lago. L’attigua Reggia era inabitabile perchè quasi circondata da mefitici acquitrini, dove pullulavano zanzare ed altri animali nocivi vettori di malattie, ed era attorniata da casupole di povera gente che doveva essere allontanata, tanto che gli Ischitani di allora disertarono la festa dell’apertura del porto. Successivamente però l’opera si è dimostrata di estrema importanza per l’economia ischitana, ha soggiunto. Lo studente Massimo Colella, con la consueta bravura e con oculata scelta, ha letto un giudizio storico di BENEDETTO CROCE tratto dalla “Storia del Reame di Napoli”, pubblicata nel 1925: Il giudizio di Benedetto Croce «…Or questo re [Ferdinando II di Borbone], docile al confessore e ossequiente al più rozzo pretume; che carezzava i gesuiti e innalzava sant’Ignazio a maresciallo onorario dell’esercito napoletano; che irrideva i letterati come “pennaioli” e, al pari dei nobili della sua corte e del suo partito e degli altri gentiluomini napoletani della stessa levatura, stimava non essere necessarie alla società altre persone istruite se non i medici per curare i malanni e gl’ingegneri per costruire le case, e che potè anche talvolta dar favore agli studi e ai dotti, ma sempre con intimo disinteresse e con tono beffardo; che badava sì alla buona finanza e a non aggravare i tributi, ma non all’equa distribuzione di questi e, soprattutto, nonostante qualche conato iniziale e qualche parvenza, non tentava nessuno dei grossi problemi dell’economia meridionale, non costruiva reti ferroviarie, e si atteneva anche in ciò al quietismo; questo re doveva necessariamente essere guardato come potenza ostile dalla nuova generazione, tutta filosofia, letteratura, poesia romantica e non meno romantici sogni di un passato glorioso per fulgide imprese e per magnanime lotte popolari, e zelatrice di progressi in ogni ordine. E potenza ostilissima egli si confermò per il suo reciso rifiuto alle richieste di più larghi istituti, per la repressione risoluta che fece di qualsiasi moto liberale, per la pratica che sperimentava efficace e teneva ottima di governare le province mercé la triplice forza del parroco, del capo urbano e del giudice regio; sicché sperare in lui per questa parte valeva veramente un disperare». ( Anna Maria Sepe, quotidiano “Il Golfo”, Inserto Cultura, del 1. 10.2005)
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