La gioia di vivere nell'opera pittorica di John Sutherland
Tripudi e slanci. Un artista come Sutherland – fondatore del Neogestualismo esistenziale – non può non far vibrare pittoricamente la sua arte dinanzi ad uno spettacolo formidabile quale quello della Vita. Non può non restare estasiato dinanzi ai piccoli-grandi “tripudi” che la vita ci concede. Non può non tracciare parabole di felicità e di gioia mediante il segno supremo e istantaneo del Gesto. John Sutherland è (anche) questo: riuscire a dipingere stati d’animo (dunque, propriamente “invisibilità”) mediante il segno assolutamente visibile e pittorico procurato dal e nel Gesto.
Dunque, anche l’allegria, la gioia, la letizia, la felicità non sono elementi inconsueti nel registro artistico-espressivo del Sutherland, giacché anche della felicità Sutherland riesce, con mirabile sintesi ed efficacia, a trarre quel “quid”, quella sorta di elemento inconoscibile, ma esperibile che ne costituisce l’essenza. Accanto ai temi fortemente impegnati (la guerra, le devastazioni ambientali, il dramma delle periferie, etc.), dunque, l’arte di Sutherland non disdegna la ri-dipintura gestuale della Pienezza di Vivere, dell’Allegria eletta a simbolo supremo della vita e a metafora permanente dell’esistenza colta nella sua vibrante concretezza e completezza. Il linguaggio sutherlandiano, cioè, si può rivolgere anche – in una dialettica complessa tra Interno ed Esterno, il Fuori e il Dentro rispetto ad un Io cosciente e senziente, ma nell’attimo artistico-gestuale Alter Ego di se stesso, individuo in fondo inconoscibile a se stesso – alle lande scanzonate e sornione di una gioia che sembra non avere limiti. E naturalmente non può che essere il colore, la tonalità cromatica a tracciare indelebilmente e a suggerire con perfezione artistica lo stato d’animo di Pienezza d’Essere che l’animo stesso conosce e prova nel momento, nell’attimo dell’inseguita e inafferrabile Felicità. Così, ad esempio, “Estiva”(acrilico su tela,cm.120 x 100) non può che tributare il suo omaggio cromatico ad una stagione e ad una contentezza vibrante, matura e perfettamente interiorizzata: gioia che è in noi e fuori di noi, si direbbe, presente com’è nelle accensioni di colore della stagione estiva. Oppure, può capitare che l’artista resti colpito da uno dei piccoli-grandi “tripudi” di cui si parlava prima (“le piccole cose” cui rimanda il titolo e la sostanza del famoso libro dell’Arundhati Roy, per l’appunto “Il dio delle piccole cose”) e si lanci nella creazione di una tela intensa come quella che ha per titolo “Tripudio”(acrilico su tela,cm.150 x 100), in cui un miracolo di contentezza, una straripante Pienezza d’Essere è messa brillantemente su tela a riempire di sé gli spazi persino, si direbbe, con l’aroma e il profumo di un’esperienza che prima ancora che spirituale sembra essere materiale, sebbene nello spirituale sfoci e si realizzi completamente. Se ne sente l’aroma, si diceva: di questa gioia onnipervasiva se ne sente l’inebriante profumo. È esperienza totale, la gioia, così come del resto qualsiasi delle opere di Sutherland, che sono a loro modo e in forma mirabile esemplificazione massima e sintesi perfetta di un’esperienza che si presuppone totale e totale si presenta agli occhi e alla mente dell’osservatore, essendo in esse percepibili – e questo grazie al miracolo dell’esatta cromia e del gesto – perfino le sensazioni olfattive, gli odori, talora, di un mondo antico, come quello evocato da “Festa d’autunno”(acrilico su tela,cm.120 x 100) in cui il momento della vendemmia diventa il paradigma valoriale su cui innestare più profonde risonanze interiori e più vibranti accenti lirici, nella commossa ed esaltante visione cromaticamente riuscita di una sorta di catarsi purificatrice che nel movimento di gioia trova l’espressione massima di realizzazione. Un mondo, dunque, quello della “gioia di vivere sutherlandiana”, ossia quello della gioia visto da e in John Sutherland, che lascia stupefatti non solo e non tanto per l’altissimo grado di bravura tecnica, ma per quella straordinaria capacità di rievocazione e quell’affascinante gioco cromatico che ci dice di noi e delle nostre fugaci gioie. Ci dice della Felicità come realizzazione estrema di vita: una sorta di Gioia globale, quasi cosmica, che trascende l’individuo per divenire vessillo tangibile di una forza talora sovrumana o collettiva, che è a sua volta prova ultima di un’interna motilità e vitalità autonoma dell’universo tutto. Una sorta di nuova Dea della Gioia. Una dea moderna e antica, sotto cui, però, non potresti non intravedere un velo soffuso di malinconia, una mestizia sottile che pur se rimane sul fondo comunque resta, giacché quell’enorme Felicità che viene dipinta non può che scontrasi nel gioco pittorico ed extrapittorico/esistenziale con una tristezza forse altrettanto enorme, nello spettacolo vitale ed eterno dei contrasti. Degli ossimori profondi. Delle luci e delle oscurità. Dei pieni e dei vuoti dell’umana esistenza. Sul tema che non ci può essere felicità per l’uomo senza condividerla con il mondo animale e vegetale (magistralmente sintetizzata,come detto, in “Festa d’autunno”) si rimanda anche ad altri dipinti di John Sutherland: “Danza di ippocampi”(acrilico su tela,cm.120 x 100); “L’albero della vita”(acrilico su tela,cm.120 x 100); “Esultanza”( acrilico su tela,cm.120 x 100); “La danza della fecondità”(acrilico su tela,cm.120 x 100); “Salmoni alla sorgente”(acrilico su tela,cm.150 x 100); “Delfino giocoso,1”(acrilico su cartoncino,cm.21 x 50); “Caprone felice”(acr.e acquerello su cartoncino,cm.32 x 48); “Festa di vendemmia”(acrilico su tela,cm.150 x 100); “Il sabato del Villaggio”(tempera su polistirolo,cm.61 x 46); “Delfino giocoso,2”(acrilico su carta bristol,cm.70 x 100). Massimo Colella,(quotidiano “Il Golfo” del 24 settembre 2009,pag.8,inserto”Arte e Cultura”)
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