Atmosfere Ischitane, la magia dell’Isola nella produzione pittorica di John Sutherland
La vitalità solare delle terre del Sud e l’incanto dell’indefinibile. Che il Neogestualismo, in virtù della peculiare tecnica artistica e del “pensiero creativo” che lo contraddistinguono, possa farsi evocatore al massimo grado di “atmosfere” e di “percezioni” attraverso l’originale poetica del non-detto, del non-finito, del non-delineato, appare cosa ovvia in sé e non bisognevole di ulteriori spiegazioni.
Eppure la fantasia tracimante e il genio pittorico di John Sutherland non possono non toccare le corde più sottili dell’animo del fruitore, spingendo quest’ultimo ad interrogarsi continuamente e ininterrottamente sul “miracolo” della limpida arte del Nostro, nella consapevolezza – peraltro – del fatto che non sia possibile penetrare perfettamente e completamente il mistero della grandezza dell’artista e che sia ipotizzabile soltanto un maggiore o minore grado di approssimazione alla verità artistica della complessa e stratificata opera sutherlandiana. E in questo continuo interrogarsi, non è sufficiente pensare e di conseguenza affermare che, ad esempio, le “atmosfere ischitane” – questa la sezione tematica determinata “a posteriori” che stiamo per trattare – siano il risultato “inevitabile” di una prassi artistica che vede l’inconscio, nel momento del “furor” platonico, quasi sbloccarsi fuoriuscendo furiosamente e senza barriere a partire dagli intimi recessi dell’interiorità per scavare con acume nell’Io del Soggetto (il Sé) e nel Non-Io dell’Oggetto (il Reale). Certo, ciò è in parte (e a tratti, profondamente) giusto; tuttavia, non può non esser manifesto a chi guardi con libertà d’osservazione e di analisi che il “cuore” dell’operazione del Sutherland sta in un qualcosa di ancor meno definibile ed inafferrabile, che per l’appunto “baffles definition” (utilizzo l’espressione di Ronald Syme situata in altro contesto) e che sfugge ad una qualsiasi teoresi interpretativa, quasi che lì dove ci sia l’Arte vera ad agire e a parlare, la critica e l’interpretazione non possano che tacere ed arretrare – per così dire – non di uno, ma di molteplici “passi”. Ciononostante, il desiderio di circoscrivere e di individuare il “senso” profondo dell’arte sutherlandiana spinge a parlare, nel tentativo (forse vano) di razionalizzare l’irrazionale: spinge soprattutto ad esplicitare (al fine di decodificarne l’origine e la portata) talune sensazioni e suggestioni provate e avvertite dall’osservatore dinanzi alle opere del Nostro. Ecco allora che, per esempio, mi sembra, in particolare, che un’opera come “Atmosfere ischitane”(acrilico su cartoncino,cm.70 x 50), che idealmente fornisce la denominazione ad un’intera e nutrita serie di lavori che hanno come denominatore comune l’evocazione, talora sognante e di norma “solare”, dell’isola, colta nella sua bellezza di terra meridionale, determini nel fruitore una somma di percezioni non perfettamente descrivibili mediante la creazione non totalmente “ex novo”, ma nondimeno originale, per l’appunto di un’atmosfera tutta resa attraverso una mescolanza calibrata di forme e colori che avvicina l’opera a molti lavori dell’artista effettuati con tecnica simile e,a volte, coloristicamente e splendidamente estremizzati,come quelli da lui dipinti su carta velina: e giacché uno dei segreti dell’arte sutherlandiana è rendere visibile l’invisibile attraverso la sua stessa invisibilità o, al contrario, come in questo caso, rendere invisibile una concreta visione scaturente da una realtà oggettiva per rafforzarne il senso e paradossalmente la visibilità, l’isola del golfo partenopeo è “raccontata” – seppur attraverso un’allusività per nulla narrativa né figurativa – grazie all’incisività del Gesto e della scarlatta cromia. Ancor più intensa e vibrante risulta essere la tonalità cromatica, con una dominante rosso-fuoco, delle “Fumarole al tramonto”(acrilico su cartoncino,cm.35 x 50) che, con medesima tecnica e soprattutto con eguale spirito, evocano con tratti vigorosi la straordinaria “divina compiutezza” della natura che mostra all’uomo tutta la sua potenza cosmica nel momento particolarissimo e vibrante di ampie risonanze dell’estinguersi del giorno. L’Isola d’Ischia diviene così non solo e non tanto il simbolo entusiasmato del dinamismo energico e scoppiettante delle terre meridionali - si veda ad esempio le “Case del Sud”(tecnica mista su carta,cm.42 x 32) in cui le tonalità aranciate e celesti e l’abbozzo schematico e mosso di una serie di abitazioni ed edifici colti nel loro sovrapporsi l’uno sull’altro sono funzionali alla ri-dipintura immaginifica di uno spazio dell’anima in cui a dominare è un caos benefico e vitale-, bensì anche e soprattutto la manifestazione assoluta della “gioia di vivere” interpretata “latu sensu” come scatenarsi dionisiaco di un’ebbrezza che tocca da vicino il nostro essere al mondo (gioia esistenziale che è poi un altro dei grandi temi dell’opera sutherlandiana). In questo senso, la realtà contingente dell’isola diventa l’emblema di una realtà universale: e ciò avviene allorquando, ad esempio, recuperando una famosa pagina della letteratura italiana, Sutherland ci propone un’opera come “Il sabato del villaggio” (tempera su polistirolo,cm.60 x 45)), contenutisticamente di chiara ispirazione leopardiana e artisticamente riecheggiante la lezione pittorica di Paul Klee(1879-1940), dove le forme fintamente infantili e la pittura preistorica-rupestre danno il senso di una formidabile contentezza, seppur soffusa di elegiaca malinconia, data dalla coscienza stessa della vita e della sua inafferrabile e prorompente bellezza. Si accennava prima ad una realtà profondamente “solare”: in realtà, se è vero che la maggior parte delle opere in questione rinviino ad una terra luminosa e perennemente invasa dal sole, gioiosa e vitale, dinamica ed incandescente, ciò non significa che talora il Nostro non indulga ad evocare il lato “notturno”, segreto e nascosto di una visione per nulla luminosa, quasi a presentare con spirito romantico il fascino dell’oscurità: è questo il caso di un dipinto quale “La chiesa del Soccorso”(tecnica mista su carta,cm.34 x 25) che invece di essere ritratta banalmente nelle sue tonalità diurne e nei suoi connotati propri, viene ad essere potentemente trasfigurata alla luce della non-luce della notte. Ancora riferibile alle “atmosfere ischitane”, anche se non esclusivamente, sono sicuramente “Risacca sulla scogliera”(acrilico su tela,cm.120 x 100) e “Scirocco di primavera” (acrilico su tela, cm. 150 x 100) che si pongono quasi, si direbbe, sulla scia dell’inglese J.M.William Turner (1775-1851) che in pieno Romanticismo – come scrisse lo storico dell’arte Werner Hofmann – “rinunciando agli assi di una prospettiva lineare stabilizzante, inventò per i suoi paesaggi (…) zone di spazio girevole, senza mai ristabilire impressioni precise” determinando “scene mosse e vaghe”: l’evocazione vigorosa e pregnante del vento caldo è affidata con superba maestria ad un turbinio, perfettamente armonico nel suo moto, dall’intensa e suggestiva cromia verdastra e dorata, da cui emana come una luce incantata che ci sorprende e ci sgomenta attraverso una composizione “a vortice” che ben esemplifica ad un tempo il concetto di dinamismo cosmico e la grazia della benevola stagione primaverile. Si comprende dunque, infine, come l’isola cui fa riferimento l’immaginario del Sutherland sia una terra incantata e prodigiosa, accogliente e vitale, energica e magmatica, di certo non priva di zone d’ombra. Ma soprattutto magica e inafferrabile come un arcano ancora da scoprire. Esattamente come misteriosa e segreta resta ancora – e nonostante ogni tentativo di analisi – la straordinaria arte di un artista geniale: John Sutherland. Le stesse atmosfere ischitane le trovi anche nei seguenti dipinti dell’Artista: “Festa di vendemmia”(acrilico su tela,cm.150 x 100); “La luce del contadino”(acrilico su cartoncino,cm.70 x 50); “La lampara”(acrilico su tela,cm.50 x 70); “Estiva” (acrilico su tela,cm.120 x 100); “Vegetazione sottomarina”,(acrilico su cartoncino,cm.33 x 48); “Tromba marina”(acrilico su carta bristol, cm.70 x 100). Massimo Colella (Quotidiano “Il Golfo” del 31 dicembre 2009, pag.5 inserto Arte e Cultura)
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